Metodi di sterilizzazione e disinfezione - Microbiologia Italia

2023-02-05 17:45:05 By : Ms. Lucky Tong

I germi possono provocare malattie, per questo, l’eliminare i microbi prima che raggiungano il paziente rappresenta un’ottima strategia di prevenzione. Prevenzione che risulta essere di centrale importanza in un mondo con sempre più immunocompromessi, trapiantati e portatori di dispositivi di supporto permanenti.

I microrganismi possono essere eliminati oppure bloccati nella loro attività di replicazione. La sterilizzazione rappresenta la completa eliminazione dei microrganismi e delle spore da un determinato sito, o su un determinato materiale. Al contrario, la disinfezione consiste nella distruzione dei patogeni secondo modalità che non soddisfano appieno i criteri di sterilizzazione. Con “sanificazione“, termine aspecifico, si intende un processo compreso tra la pulizia e la disinfezione. L’asepsi comprende processi volti ad impedire la contaminazione di ambienti protetti da parte dei microrganismi.

In alcuni casi si può assistere al fenomeno di “riattivazione“: per esempio, l’esposizione ai raggi ultravioletti induce la formazione di dimeri di timina nel DNA, bloccandone la replicazione. Tuttavia, un breve periodo di esposizione alla luce può stimolare l’attivazione di un enzima che scinde i dimeri in un processo noto come “fotoriattivazione“.

Lo sviluppo delle metodiche di sterilizzazione ha permesso di poter praticare numerose tecniche di chirurgia invasiva e di poter conservare gli alimenti decisamente più a lungo.

Il calore rappresenta da sempre un ottimo metodo di sterilizzazione, infatti, esporre oggetti come bisturi od aghi ad una fiamma libera, permette di poterli utilizzare in totale sicurezza. Il calore secco, come quello delle stufe (Figura 1) a 160°C per almeno 2 h, permette di eliminare ogni microrganismo (e le spore) da materiali come il vetro. Al contrario, il calore umido, più rapido ed efficacie, permette di denaturare le proteine dei microbi a temperature relativamente basse. L’autoclave, per esempio, è una particolare pentola a pressione composto da una camera in cui l’aria progressivamente viene sostituita da vapore sotto pressione. Quando l’aria viene sfiatata dall’apposita valvola, la temperatura della camera interna sale proporzionalmente alla pressione di vapore fino a raggiungere i 121°C, mantenuti per almeno 15 minuti.

Per materiali plastici o strumenti con lenti, danneggiabili in autoclave, si ricorre all’utilizzo di alcuni tipi di gas. Per esempio, l’ossido di etilene, un gas infiammabile ed altamente esplosivo, inattiva i microrganismi andando ad alchilare i gruppi ossidrilici, carbossilici e sulfidrilici del DNA. Gli sterilizzatori ad ossido di etilene rilasciano il gas al 10% in presenza di biossido di carbonio a temperatura compresa tra i 50 e i 60°C. I tempi sono generalmente di 4-6 h, seguiti da una fase di aerazione che favorisce l’evaporazione del gas tossico dal materiale sterilizzato. Altre tipologie di gas alchilanti, come i vapori di formaldeide, possono essere nebulizzati per sterilizzare delle aree più grandi come stanze, reparti etc.

La luce ultravioletta (240-280 nm) è assorbita dagli acidi nucleici danneggiando il DNA. I danni inducono un blocco della replicazione e la morte dei microrganismi. Gli UV sono poco penetranti, e infatti sono usati per sterilizzare le superfici (es. banconi di lavoro, cappe microbiologiche; Figura 2). Al contrario, le radiazioni ionizzanti più forti, distruggono il DNA e liberano radicali in presenza di acqua. I raggi gamme, infatti, sono ampiamente sfruttati per sterilizzare strumenti chirurgici, siringhe.

I microrganismi, sia vivi che morti, possono essere rimossi da un liquido tramite filtrazione (Figura 3). Si tratta di sfruttare filtri dati da esteri di cellulosa con maglie comprese tra 0,0005 e 1 micron. Per la rimozione dei batteri si utilizzano filtri da 0,2 micron che, tuttavia, non trattengono i virus di più piccole dimensioni.

Mantenendo i fluidi (come il latte) a 55-75°C per almeno 30 minuti è possibile eliminare completamente i batteri in forma vegetativa. La pastorizzazione (Figura 4), tuttavia, non permette di eliminare con efficacia le spore.

I microonde non sono sistemi sotto pressione, tuttavia in presenza di umidità possono portare il materiale da disinfettare a temperature prossime a quella di ebollizione. Può essere considerata una pratica alternativa all’incenerimento, tuttavia, non risulta essere sterilizzante poichè non elimina le spore.

Gli alcoli sono denaturanti nei confronti delle proteine, se utilizzati con una concentrazione compresa tra il 70-95% in acqua. In assenza di acqua portano ad una rapida disidratazione dei microrganismi che però non muoiono. Gli alcoli non sono attivi nei confronti delle spore e dunque non sono considerati agenti sterilizzanti. L’alcol etilico (70-90%) e l’alcol isopropilico (90-95%) sono spesso utilizzati per decontaminare la cute e le superfici di lavoro.

Lo iodio rappresenta un disinfettante efficacie, soprattutto se utilizzato come tintura al 2% in 50% di alcol. Agisce ossidando importanti componenti della cellula microbica. Attualmente sono impiegati prettamente in combinazione con vettori non ionici (iodofori) come il povidone (Figura 5), che gradualmente rilasciano piccole quantità di iodio. Quest’ultimi sono ampiamente sfruttati per disinfettare la cute di pazienti che saranno sottoposti ad interventi chirurgici. L’acido ipocloroso in soluzione acquosa leggermente acida, rilascia un grande quantitativo di ioni cloro liberi che, ad una concentrazione inferiore ad una parte per milione, uccidono la maggior parte dei batteri e dei virus. Sono utilizzati per disinfettare le tubature dell’acqua potabile e le piscine.

Il perossido di idrogeno è un forte agente ossidante che va a danneggiare i lipidi delle membrane batteriche. Viene spesso impiegato per la disinfezione di oggetti come le lenti a contatto (che non ne subiscono l’effetto corrosivo), tuttavia, è meno attivo verso i batteri catalasi positivi e verso gli sporigeni.

I tensioattivi sono molecole anfotere che permettono di solubilizzare diversi composti modificandone le proprietà. Detergenti anionici, come i saponi, hanno scarso effetto battericida diretto, mentre i detergenti cationici come i sali di ammonio quaternari, hanno grande effetto battericida in assenza di materiale organico di contaminazione. I loro gruppi in parte idrofilici e in parte idrofobici interagiscono con i lipidi delle membrane cellulari modificandone le proprietà e portando alla perdita di contenuto cellulare. Grazie alla loro bassa tossicità vengono spesso impiegati allo 0,1% per pulire la pelle e le mucose.

I fenoli sono agenti fortemente denaturanti per le proteine, spesso vengono ingegnerizzati sull’anello benzenico per migliorarne l’azione decontaminante. Sono troppo tossici per essere impiegati come antisettici sulla cute, anche se sono spesso presenti in colluttori e in preparati per il mal di gola. La clorexidina è ampiamente utilizzata come disinfettante per la cute poichè decisamente tollerabile. Agisce alternando la permeabilità della membrana dei batteri Gram-positivi e Gram-negativi, ed essendo cationica viene neutralizzata dall’utilizzo di sapone e detergenti anionici.

La glutaraldeide (Figura 6) e la formaldeide sono agenti alchilanti, praticamente letali per tutti i microrganismi. Tuttavia, i gas di formaldeide sono irritanti, allergenici e sgradevoli, tutte proprietà che ne limitano l’utilizzo. Decontaminano con successo gli ambienti e spesso vengono impiegati per la decontaminazione dei laboratori da patogeni. La glutaraldeide viene impiegata per la disinfezione delle strumentazioni chirurgiche e per le attrezzature da terapia respiratoria.

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